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venerdì 23 maggio 2025
33 ANNIVERSARIO STRAGE DI CAPACI
La strage di Capaci fu un attentato di stampo terroristico-mafioso compiuto da Cosa Nostra sabato 23 maggio 1992 nei pressi di Capaci (sul territorio di Isola delle Femmine) con una carica composta da tritolo, RDX e nitrato d'ammonio con potenza pari a 300 kg di tritolo, per uccidere il magistrato antimafia Giovanni Falcone. Gli attentatori fecero esplodere un tratto dell'autostrada A29, alle ore 17:58, mentre vi transitava sopra il corteo della scorta con a bordo il giudice, la moglie e gli agenti di Polizia, sistemati in tre Fiat Croma blindate. Oltre al giudice, morirono altre quattro persone: la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Vi furono ventitré feriti, fra i quali gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l'autista giudiziario Giuseppe Costanza.
AlpiLinK e parlate locali
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testo in resiano |
Ogni anno delle circa 6-7.000 lingue parlate nel mondo, alcune muoiono e altre sono a forte rischio di estinzione, col pericolo di perdita di un pezzo della storia e dell’identità di un territorio.
Di come contribuire a preservare questo patrimonio culturale e immateriale di inestimabile valore si parlerà lunedì, 5 maggio, a Gemona del Friuli, uno dei comuni della Riserva transfrontaliera di Biosfera delle Alpi Giulie. Qui l’Ecomuseo delle Acque del Gemonese ospiterà un evento dedicato alla presentazione di «AlpiLinK – Lingue alpine in contatto», progetto per la documentazione e la mappatura di lingue e dialetti dell’arco alpino italiano. Nato nel 2022 dalla cooperazione degli atenei di Verona, Trento, Bolzano, Torino e Valle d’Aosta, il progetto è finanziato dal ministero dell’Università e della ricerca come progetto di rilevante interesse nazionale e si propone di documentare, studiare e preservare 18 varietà linguistiche delle Alpi italiane, tra cui friulano, sappadino, saurano, timavese (Timau), resiano, tedesco e sloveno della Val Canale.
L’Ecomuseo delle Acque del Gemonese è da sempre impegnato nella tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e linguistico del territorio, con azioni e iniziative che coniugano sostenibilità, educazione e conservazione della memoria storica e culturale. Il progetto AlpiLinK si inserisce in questa missione, contribuendo a preservare e valorizzare le lingue locali come parte integrante dell’identità culturale del Nord Italia. Le altre lingue e dialetti oggetto di studio, sono il veneto, il trentino, il ladino, il lombardo, il piemontese, il francoprovenzale, l’occitano, il walser, il cimbro, il mocheno e il tirolese. L’iniziativa si colloca nel contesto delle sinergie interdisciplinari tra ricercatori afferenti al consorzio iNEST (Interconnected North-East innovation ecosystem), finanziato dal programma europeo NextGenerationEu (Piano nazionale di ripresa e resilienza). (Sandro Quaglia)
dal Dom
giovedì 22 maggio 2025
Le Agane
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da radio magica |
Nella Val Colvera si racconta di una donna che aiutò un'Agana durante il parto. Per gratitudine, l'Agana le donò un gomitolo senza fine, che portò ricchezza e abbondanza alla sua famiglia... fino a quando il segreto venne svelato.
Il gomitolo rappresenta il filo che ci unisce alle nostre radici, da cui possiamo trarre grandi ricchezze.
Le Agane si ritrovano a danzare sui prati della Carnia, sul monte Tenchia, in particolari ricorrenze. Solitamente vestite di bianco, possono anche apparire come esseri dai piedi rivolti all'indietro, ricordando le sirene.
mercoledì 21 maggio 2025
In regione 1300 km di ciclabili: il Fvg capitale del cicloturismo 2025
Un investimento di 250milioni di euro in 6 anni che hanno portato il Friuli Venezia Giulia a contare su più di 1300 chilometri di piste ciclabili. A dirlo, l’assessore regionale alle finanze, Barbara Zilli, che ha partecipato alla presentazione del Green Road Award, l’Oscar italiano del cicloturismo assegnato alle Regioni che investono in infrastrutture e servizi per la vacanza su due ruote che compie quest’anno 10 anni.
“Essere Capitale del cicloturismo 2025 è un’occasione meravigliosa per confermare ancora una volta e ancora di più come il Friuli Venezia Giulia sia un palcoscenico ideale per il cicloturismo: lo dimostrano i numeri, perché dal 2018 ad oggi abbiamo investito oltre 250 milioni di euro nella nostra rete ciclabile. Si tratta di un patrimonio dedicato alle due ruote di 1300 chilometri di lunghezza immerso nelle bellezze naturalistiche e storico culturali di un territorio vocato all’enogastronomia di qualità“.
Meteo Friuli
E' da due giorni che piove , ma non è finita ci aspettano altre due giornate piovose. Spesso maggio si comporta così.
lunedì 19 maggio 2025
Leon XIV. in manjšinski jeziki / Leone XIV e le lingue minoritarie
Papa Leone XIV è un poliglotta. Oltre all’inglese americano, sua lingua madre, parla correntemente lo spagnolo, che nell’America Latina preferiscono chiamare castigliano, l’italiano, il francese e il portoghese; sa leggere il tedesco e, naturalmente, ha dimestichezza con il latino.
Questo hanno riportato i media di tutto il mondo dopo l’elezione, ma, a leggere attentamente le biografie di Robert Francis Prevost, si scopre che parla anche il Quechua, la lingua dei nativi sudamericani, già ufficiale nell’impero Inca, parlata da quasi 8 milioni di persone nell’area occidentale del Sud America, incluso tutto il Perù. E il nuovo pontefice, appartenente all’ordine degli agostiniani, ha lavorato come missionario a Chulucanas e Trujillo a partire dagli anni ’80, immergendosi nelle culture locali e utilizzando pure da vescovo per predicazioni, amministrazione di sacramenti e dialogo con le comunità anche la lingua dei nativi delle sue diocesi di Chiclayo e Callao.
Questo particolare dell’uso della lingua dei nativi rende ancora maggiore la simpatia e la sintonia con il nuovo papa degli sloveni di Benecia, Resia e Valcanale come di tutte le comunità etnico-linguistiche con una storia passata e presente di vessazioni, discriminazioni e politiche di assimilazione.
Consola e dà grandi speranze constatare che, con Leone XIV, alla guida della Chiesa universale c’è ancora un pastore che si è lasciato plasmare dalla gente. Non dal potere, né dalla burocrazia ecclesiastica, ma dal contatto diretto con le comunità di confine, quelle dove la fede non è scontata, dove la Chiesa è sempre corpo a corpo con la povertà, la disperazione e la speranza.
Il pensiero ecclesiale del santo padre si è formato in Perù, dove ha vissuto per oltre vent’anni e anche acquisito la cittadinanza.
In Perù il nuovo pontefice si è arricchito nel dialogo con le culture locali, nell’ascolto delle ferite della società e nell’esperienza concreta di una Chiesa che non ha paura di rimboccarsi le maniche. Così i più attenti osservatori fanno notare che il nuovo Papa non è un teorico della sinodalità, è piuttosto uno che l’ha vissuta prima ancora che se ne parlasse nei documenti.
Il suo modo di concepire la Chiesa, in definitiva, è per molti versi affine a quello di papa Francesco, che voleva una Chiesa «in uscita », che non giudica ma accoglie, che non impone ma accompagna. E in chi gli è succeduto c’è anche la sobrietà derivante dal pensiero e dall’insegnamento di Sant’Agostino che crede nella forza della comunità, ma anche nella centralità della coscienza e nel valore del discernimento personale.
Robert Francis Prevost è stato eletto papa in un mondo lacerato da guerre e conflitti di ogni sorta, segnato da un individualismo sfrenato che calpesta la dignità dell’uomo, nel quale, come da lui stesso sottolineato nella prima messa con i cardinali elettori, la fede cristiana «è considerata una cosa assurda» perché «si preferiscono tecnologia, denaro, successo, potere, piacere» e in alcuni contesti Gesù «è ridotto solamente a leader carismatico o un superuomo», e ciò anche «tra molti battezzati che finiscono così col vivere un ateismo di fatto».
Che fare, allora? Leone XIV lo ha detto subito dopo l’elezione parlando dalla loggia della basilica di San Pietro: «Il mondo ha bisogno della luce di Cristo, l’umanità necessita di Lui come ponte per essere raggiunta da Dio e dal suo amore. Aiutiamoci anche noi, gli uni gli altri, a costruire ponti, con il dialogo, con l’incontro, unendoci tutti per essere un solo popolo, sempre in pace». Solo così, come ha detto Francesco il giorno di Pasqua, «il male non prevarrà».
In definitiva, il pontificato di Robert Francis Prevost segna una continuità – e non poteva essere diversamente dopo i 12 anni di Jorge Mario Bergoglio – nella preoccupazione per il bene comune, per un Vangelo al centro della società e per una Chiesa che si mette in ascolto dei più poveri e dei più piccoli. Comprese le minoranze etnico- linguistiche.
Ezio Gosgnach
dal Dom
domenica 18 maggio 2025
Anche le chiese testimoniano l’appartenenza della Benecia al mondo sloveno
Da quando nel 2021 è stato inaugurato il Cammino delle 44 chiesette votive in Benecia, delle chiese delle Valli del Natisone e dello Judrio si parla davvero molto, a volte presentando a lettori e visitatori informazioni incomplete, se non errate. Quindi è tanto più prezioso il libretto «Sosedenjske cerkve v Benečiji/Le chiese vicinali in Benecia», scritto da Giorgio Banchig e pubblicato dall’Istituto per la cultura slovena-Inštitut za slovensko kulturo. L’agile volume è stato presentato martedì, 22 aprile, allo Slovenski kulturni dom di San Pietro al Natisone/Špietar. A parlare con l’autore è stata Živa Gruden.
Già il titolo del libro presenta un’informazione importante, notando che le chiesette sono «vicinali» e non «votive». Di loro, infatti, si occupavano i capifamiglia riuniti nelle vicinie. Un altro dato significativo è che nelle Valli del Natisone, di Savogna, del Cosizza, dell’Erbezzo e dello Judrio di chiesette ne sorgono 61. Su un territorio di circa 203 chilometri quadrati, quindi, ne troviamo una ogni 3,3 chilometri quadrati circa, quale espressione di una popolazione di appena 5.000-6.000 abitanti.
Tra il XV e il XVI secolo la Benecia ha conosciuto una sorta di rinascita culturale, vedendo lo stile tardogotico giungere a ristrutturare le locali chiese vicinali, che prima erano in stile romanico. Il gotico aveva iniziato a diffondersi dalla Francia alla fine del XII secolo, ma in Benecia è arrivato nel XV secolo, quando in Italia già sbocciava il rinascimento. In molti casi la ristrutturazione delle chiese, che ha portato all’aggiunta di varie decorazioni e bellissimi affreschi, è stata anche un’opera necessaria a seguito del forte terremoto del 1511 in Friuli.
Per queste ristrutturazioni sono giunti in zona mastri ed artisti di lingua slovena. Agevolati dal parlare la stessa lingua della popolazione locale, hanno potuto anche comprenderne meglio gusti e sensibilità. Tra i nomi più noti ricordiamo Andrej da Škofja Loka e Gašper da Tolmin, giunti entrambi su probabile richiesta di don Klement Naistoth, che è stato parroco a San Pietro al Natisone. Anche lui era originario di Škofja Loka.
Le chiese vicinali rappresentano una testimonianza concreta della forte fede cristiana dei beneciani nei secoli ma anche dell’appartenenza della zona allo spazio culturale sloveno. I mastri di lingua slovena sono giunti anche in Benecia perché lì si trovavano tra la propria gente, che aveva legami con la Gorenjska, il Posočje e tutta l’ampia zona in cui si parla sloveno. dal Dom
sabato 17 maggio 2025
poesia di Rocco Scotellaro
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Van Googh La Siesta |
Ai piedi dell’olmo
ROCCO SCOTELLARO
NOTTE IN CAMPAGNA
Coricàti ai piedi dell’olmo,
il cielo ha meno stelle per il vento.
Le Pleiadi sono incenerite,
l’Orsa è sgangherata
sull’orizzonte pulito.
Io voglio te, niente boccali di vino forte
né l’origano e il sale sul pane.
Tu distesa rimani
ferita da non so chi ti ha giocato a sorte.
(da È fatto giorno, Mondadori, 1954)
.
Un amore segreto, come quello con la "figlia del trainante", va in scena nell'ambientazione campestre delle poesie di Rocco Scotellaro: come scrive Silvia Mele, "sono donne non facili da vedere, da incontrare, protette non solo dal loro pudore e dalle tradizioni, ma anche dalla famiglia".
fonte Canto delle sirene
.
giovedì 15 maggio 2025
Specchi digitali: come i social stanno cambiando sogni, relazioni e identità
C’è ancora spazio per la speranza e per un cambiamento. La consapevolezza sta crescendo, i primi segnali di reazione ci sono. Alcune scuole, famiglie, istituzioni iniziano a ripensare i modelli educativi e relazionali. È un lavoro lento, ma possibile. Dobbiamo imparare a vivere nel digitale senza esserne dominati. Restituire centralità al pensiero critico, al dialogo, alla moderazione
Negli ultimi vent’anni, il nostro rapporto con la tecnologia ha prodotto una trasformazione radicale nel modo di costruire il futuro e, soprattutto, nel modo in cui i più giovani lo immaginano. Dove prima si sognava di volare nello spazio, oggi si aspira a diventare virali sui social.
L’articolo di Riccardo Luna, pubblicato su Il Corriere della Sera, dal titolo: “Da astronauta a influencer: cosa è andato storto nel sogno di futuro dei nostri figli”, offre un’analisi lucida e coraggiosa di questa mutazione culturale, mettendo in luce come i social media abbiano progressivamente sostituito l’orizzonte collettivo con una moltitudine di specchi narcisistici. A partire da questa riflessione, è possibile indagare da un punto di vista sociologico le ragioni profonde di questo cambiamento e i rischi che esso comporta, non solo per le giovani generazioni, ma per l’intera tenuta della nostra coesione sociale.
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